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L'identità e la macchia
Il battesimo della coscienza civile a Bronte nel dibattito sulla strage del 1860
Vincenzo Pappalardo
16x23, ISBN 978-88-7751-299-4,
pagg. 344,
ill. - Cod: 200902
Il 2 agosto 1860, mentre le truppe di Garibaldi si apprestavano a varcare lo Stretto, scoppiava a Bronte una terribile rivolta contadina che, in nome della nuova Italia, portava all’uccisione di sedici cittadini del ceto borghese. Il 6 agosto Nino Bixio, con un suo battaglione, entrava in città con il compito di riportare l’ordine: nel suo primo decreto, dichiarava “il paese di Bronte colpevole di lesa umanità”. Il 10 agosto, alla fine di un processo sommario, cinque capi rivoluzionari venivano dichiarati colpevoli e fucilati nel piano di San Vito. Tutti gli altri accusati degli atti criminali di quei giorni venivano messi ai ferri e spediti al giudizio del tribunale di Catania che, nell’estate del 1863, celebrava un maxi processo di risonanza amplissima nel dibattito sui destini dell’Italia post unitaria.
Fin qui il capitolo della storia risorgimentale, che tutti conoscono.
Per la comunità brontese cominciava, invece, un travaglio della coscienza che costringeva a fare i conti con quella catastrofe e, per questa via, ad elaborare i primi sforzi per una collocazione storica della vicenda cittadina. Si andava così formando la consapevolezza civile e comunitaria della città, alla ricerca finalmente del senso di identità e del sentimento di comune appartenenza che erano mancati a quelle masse confuse di individui che, nell’agosto del 1860, avevano toccato il punto di non ritorno, non potendo più continuare vicendevolmente a sbranarsi, e dovendo cominciare a trovare ragioni di pacifica convivenza e traguardi di comune progresso.
Spinta innanzitutto dalle potenti e suggestive analisi emerse nelle arringhe difensive del processo di Catania, e poi dalle cronache garibaldine e dagli echi letterari verghiani, la coscienza cittadina, incarnata nelle sensibilità del sindaco Antonino Cimbali, del frate Gesualdo De Luca e, soprattutto, del professor Benedetto Radice, gradatamente risaliva alle origini delle spaccature che sfarinavano il tessuto sociale della gente di Bronte e, denunziando le aberrazioni di un destino feudale senza fine, spianava il terreno comune di un dramma che aveva investito tutti, i contadini, spogliati della speranza e oltraggiati da secoli di miseria e raggiri, e la piccola borghesia locale, forzata al rachitismo delle sue possibilità e umiliata nella strisciante servitù del padrone feudale. Così la società di Bronte si era polverizzata; e le sue polveri erano divenute miscela esplosiva e deflagrate.
Le nuove generazioni brontesi affacciatesi alla soglia del ‘900, e apertesi ormai al mondo più vasto e moderno cui la Sicilia cominciava a partecipare, troveranno la forza di liberarsi dell’ultimo lascito di feudalità, arroccatosi a Maniace nella Ducea dei Nelson, recuperando il senso della comune identità nel sentimento di sofferenza e nella ricerca di disperata dignità dei padri.
Questo libro, con un linguaggio volutamente letterario e non scientifico, presenta i documenti e racconta il tormentoso e difficile processo di cultura che ha portato la comunità di Bronte a nascere come società moderna. E racconta come essa sia riuscita - nel variare dei destini esistenziali e delle fortuite collocazioni di ciascuno nelle gerarchie dell’economia e del successo sociale - a trovare la radice del suo esistere nella capacità di sentire il grido di dolore degli avi e di lenire e rimarginare le ferite infette che suppuravano nelle loro carni.
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