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Delitto al San Domenico

Giacomo Tamburino

14x21,4 ISBN 978-88-7751-394-6, pagg. 160, ill. - Cod: 201417

€ 18,00 / (L.34.853)


Nel parco dell’Albergo San Domenico di Taormina la mattina del 22 settembre 1963 venne trovato il cadavere dell’ingegnere Villari, abile imprenditore e affascinante donnaiolo. Due proiettili lo avevano colpito al petto. La sera precedente aveva partecipato ad una festa svoltasi nei locali del prestigioso albergo dove era convenuta l’élite di Messina. Gli investigatori ritennero inizialmente che ad armare la mano dell’omicida potesse essere stata la gelosia, visto che l’uomo era conteso da più donne. La prima ad essere interrogata fu la moglie Miriam, veneta di origine. Nota per il suo carattere distaccato dai comuni interessi e permissivo verso le abitudini sentimentali del marito, fu considerata subito del tutto estranea al delitto. La seconda a deporre fu Benedetta, moglie di un noto industriale. La sua apparente imperturbabilità e la rispettabilità derivante dalla posizione sociale sua e del marito, valsero a farla considerare anch’essa estranea alla morte del Villari. La terza ed ultima donna sentita fu una giovane appartenente anch’essa alla buona società, educata ad essere libera dagli abituali schemi comportamentali e pertanto naturalmente incline ad una mutevole vita sentimentale. Appunto per questo motivo non fu ritenuta passibile di sospetto. Scartati i motivi passionali, le indagini si rivolsero all’ambiente di lavoro. La rapida ascesa della vittima nell’imprenditoria edile, allora spesso contigua al potere mafioso, attivo nella spartizione degli appalti pubblici, attirò l’attenzione su altre piste. Ci si avvalse delle informazioni fornite dalla commissione parlamentare antimafia in seguito alle quali furono sentiti i coniugi Savuto. La moglie era dipendente dell’impresa Villari. Marito e moglie erano collegati con l’organizzazione malavitosa. Non si acquisirono però elementi utili, nonostante il fatto che la morte accidentale del Savuto, avvenuta qualche giorno dopo la sua deposizione, avrebbe potuto far pensare ad una eliminazione mafiosa atta a impedirgli la rivelazione di “oscuri affari”. Due lettere anonime e l’abilità del magistrato inquirente portarono alla confessione del colpevole.

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